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Il Bounce non è una metrica affidabile, ma se proprio vuoi usarla devi lavorare sull’Adjusted Bounce Rate

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Negli anni mi è capitato molto spesso di trovare responsabili marketing ossessionati dal problema del Bounce-Rate,  o frequenza di rimbalzo, ovvero la metrica che esprime il fatto che un visitatore arriva sul nostro sito, guarda soltanto una pagina per pochi secondi e dopodiché lo abbandona.

Non so perché, ma spesso ci si concentra su questa metrica piuttosto che su altre molto più importanti, come ad esempio la conversione, la metrica più importante che mostra il reale motivo per cui si investe in attività digitali e ci fa capire se siamo in linea con gli obiettivi di marketing. Credo che per questo aspetto, che vede protagonisti i responsabili marketing ed in generale tutte le figure professionali che si interessano di analisi e dati, valga lo stesso discorso del bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto, o del volersi focalizzare sulle cose negative anziché quelle positive.

Fatto sta che oggi l’ossessione di molti manager è proprio il bounce-rate e, se questo valore è molto alto, scattano ansie e preoccupazioni che dal mio punto di vista non hanno motivo di esserci, vediamo il perché.

Il Bounce-rate: la metrica meno affidabile

Il bounce-rate è una delle metriche meno precise perché gli analytics si basano, per il calcolo del tempo e delle visite, sul percorso di più pagine, dove la pagina successiva indica che c’è stato un cambio e di conseguenza in questo modo abbiamo la possibilità di calcolare il tempo di permanenza su quella precedente. Quindi, nel caso del bounce-rate, non avendo il dato della pagina seguente, non si hanno i dati a disposizione.

Ad esempio: un utente che arriva sul sito direttamente ad una pagina interna, magari attraverso una ricerca su Google, potrebbe trovare già tutti i contenuti di cui ha bisogno e se leggerà tutte le informazioni presenti – ipotizziamo che in questa sessione rimanga coinvolto nella lettura per una durata di 5 minuti – quella visita sarà considerata come un bounce e la durata della sessione sarà considerata pari a zero secondi.

Per questo motivo valutare questa metrica come chiave per il proprio business non è corretto. Per quelli però che vogliono approfondire comunque questo tipo di informazione consiglio vivamente di utilizzare l’Adjusted Bounce Rate, o frequenza di rimbalzo adattata, metrica che fornisce informazioni riguardo gli eventi che vengono rilevati all’interno della navigazione dell’utente, per riconoscere veramente se quel tipo di utenza era un bounce o meno.

Adjusted Bounce Rate: metodo per un utilizzo efficace

È possibile utilizzare diversi eventi per un utilizzo efficace dell’ABR, eccone alcuni:

  1. Utilizzare un evento timer, che scatta al momento dell’atterraggio sulla pagina e che, dopo un tot di secondi di permanenza sulla pagina, comunica che non è più un bounce. Questo è uno dei sistemi più utilizzati.
  2. Click su elementi presenti nella pagina, come ad esempio pulsanti, bottoni , immagini.
  3. Scroll della pagina, ovvero un evento che registra quanto un utente fa scroll sulla pagina del sito e che ci fa capire fin dove arriva a leggere i contenuti; a 3/4 della pagina potrebbe essere considerato un non bounce.
  4. Condivisione social, quindi monitorare l’utilizzo dei pulsanti di condivisione e/o di mi piace.

Implementare l’ABR su Google Analytics

È possibile implementare l’Adjusted Bounce Rate su Google Analytics attraverso l’inserimento del codice in pagina o, ancora meglio, utilizzando un sistema di Tag management come Google Tag manager, che consente di configurare in maniera semplice dal pannello di controllo, senza dover modificare codice nella pagina.

Quindi, per chiunque voglia realmente capire se i vari tipi di visitatore al proprio progetto digitale siano interessati o meno, fermarsi al bounce non è una buona scelta. Soltanto attraverso l’ABR si ha realmente visione e cognizione di ciò che sta succedendo.

 

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